sabato 21 febbraio 2015

JOHNNY MARR... 2° album... tutto ciò che un fan si aspetta dal chitarrista degli Smiths

RADI@zioni / Disco Hot N° 03:
JOHNNY MARR “Playland” (2014)

Sembra un po’ uno scherzo del destino: un artista “simbolo” come Johnny Marr, all’asciutto per ben 25 anni, pubblica 2 dischi, uno dietro l’altro, nell’arco di 2 anni. Qualcosa è scattata nella sua testa! Chiaramente, non è che in tutti questi anni il nostro sia rimasto fermo. Dal momento dello scioglimento degli Smiths, Mr. Marr è diventato un session-man di prestigio, inanellando molteplici collaborazioni con Billy Bragg, Talking Heads, Beck e The Cribs tra gli altri.
“Playland” è un disco immediato, accattivante e molto più ruffiano del predecessore. Più della metà delle tracce sono potenziali singoli da classifica con melodie, se vogliamo, molto semplici. A quanto pare sembra che il chitarrista inglese abbia ritrovato la voglia di scrivere belle canzoni “pop”.
Johnny Marr è uno dei grandi gregari del rock, canta benino, ma ha anche una sua scrittura, un suo modo di fare canzoni …
Ci ha messo una vita a fare il solista, ma ora che lo fa … lo sa fare bene!

(A cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
LITTLE KING


domenica 11 gennaio 2015

DEERHOOF - Ispirazione e sorpresa, urgenza e intelligenza noise-pop... ma sempre fedeli alla propria diversità!

RADI@zioni / Disco Hot N° 02:
DEERHOOF “La Isla Bonita” (2014)

Deerhoof è una band di San Francisco dalla carriera ormai ventennale. “La Isla Bonita” è il 12° album sfornato da questa band che non è affatto una band normale! Deerhoof si potrebbero etichettare in mille modi diversi perché riescono sempre a dare un’impronta originale ad ogni loro album. Potreste chiamarlo indie-rock evoluto, od in continua evoluzione se preferite, articolato tra noise-pop e post-rock con licenza di spaziare ovunque, improvvisando con fervida creatività e scambiandosi ruoli e strumenti.
“La Isla Bonita” è un disco di appena 32 minuti. Un concentrato di gusto. Un prodotto per nulla ostico… fatto, tuttavia, per essere assimilato lentamente ma ripetutamente. Con le loro melodie ed ottime intuizioni, sia ritmiche che armoniche, i Deerhoof vi invitano a godere lei loro suoni!

(A cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:


domenica 4 gennaio 2015

THE GROWLERS – Tuffatevi nella loro “Chinese Fountain” e lasciatevi cullare… vi riscalderà!

RADI@zioni / Disco Hot N° 20:
THE GROWLERS “Chinese Fountain” (2014)

Arrivano dalla California! “Chinese Fountain” è il loro 5° album e chi si aspettava l’ennesimo buon disco non rimarrà affatto deluso!
Solo da pochissimo tempo sono riusciti a ritagliarsi il loro meritato spazietto tra i discorsi degli scopritori di musica nuova, ma in realtà The Growlers sono in giro da ormai un lustro… quel tanto che basta per chiedersi se sia ancora il caso di chiamarli “emergenti”.
Con il loro atteggiamento confortevole e assolutamente rilassato, con il loro beach-pop sbilenco, The Growlers provano a riscaldare i vostri cuori in questo gelido inverno. Ascoltateli, lasciatevi trasportare dal loro ritmo leggero e tranquillo… tuffatevi nella loro “Chinese Fountain” e lasciatevi cullare… vi riscalderà…

(A cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:


sabato 20 dicembre 2014

SANCTUARY - Non un capolavoro, ma un eccellente test di sopravvivenza!

SANCTUARY “The Year The Sun Died” (Century Media, 2014) - www.facebook.com/sanctuaryfans/timeline

Tracklist:
01.
Arise And Purify
02.
Let The Serpent Follow Me
03. Exitium (Anthem Of The Living)
04. Question Existence Fading
05. I Am Low
06.
Frozen
07. One Final Day (Sworn To Believe)
08. The World Is Wired
09. The Dying Age
10. Ad Vitam Aeternam
11.
The Year The Sun Died
12. Waiting For The Sun (The Doors cover, ltd. edition bonus track)

Cambia il nome sulla copertina, cambia qualche elemento in formazione, ma ciò non toglie che i rinati Sanctuary siano la logica conseguenza degli ultimi Nevermore e, solo in percentuale minore, la continuazione della band che aveva inciso, all’alba degli anni ’90, il fondamentale “Into The Mirror Black”. Superata quindi la legittima diffidenza provata di fronte a questa uscita quasi a sorpresa, rimane da valutare la qualità del suo contenuto. E qui va subito detto che a far la differenza saranno più le aspettative di chi ascolta piuttosto che il lavoro svolto dai musicisti. “The Year The Sun Died” è, nei fatti, un album solido, cupo, ben calibrato ma decisamente poco innovativo, il che è probabilmente il massimo che ci si potesse aspettare dalla rifondata band di Seattle. La qualità dei musicisti è, infatti, indiscutibile così come l’unicità artistica di un interprete come Warrel Dane, ma allo stesso tempo c’è da sgombrare il campo dalla possibilità che la proposta attuale possa raggiungere la grandezza e l’importanza storica, a dire il vero difficilmente avvicinabile da chiunque, delle migliori uscite targate Nevermore, o anche del già citato capolavoro dei Sanctuary. (www.metallus.it/recensioni/recensione-the-year-the-sun-died/)
Ma, anche conservando i tratti distintivi di entrambe le band, “The Year The Sun Died” compie un ulteriore passo in avanti, finendo per essere qualcosa di nuovo rispetto a tutte e due. Il disco è bellissimo, articolato, emozionante, pieno di pathos e denso, densissimo di cambi di tempo e di atmosfera ed appare dannatamente ispirato anche se un po’ difficile da assimilare. Per molti sarà molto più facile bollarlo come “clone” dei Nevermore senza averlo ascoltato, che riuscire davvero e coglierne la mutevolezza e le infinite sottigliezze di arrangiamento. Per chi invece non fosse affatto interessato a sapere chi siano stati, in passato, i Sanctuary o i Nevermore (diretta evoluzione dei primi) e vuole solo sapere che cosa lo aspetta premuto il tasto “play”, allora diremo che “The Year The Sun Died” è un disco di power/thrash metal evoluto, pesante e complesso, moderno ma al tempo stesso dotato di un feeling senza tempo, ricco di brani oscuri e malinconici, potente ed emozionante, che presenta composizioni di livello superiore per la quasi sua interezza e nessun vero punto debole. Da avere e da ascoltare spesso, per penetrarne la mutevole essenza, per quanto assolutamente non di semplice ed immediata fruizione. Ancora una volta, band stratosferica e di gran lunga superiore a molte altre attualmente in circolazione. Se poi questo lavoro sia meglio o peggio di “Into The Mirror Black” o di un qualsiasi altro album dei Nevermore, è giusto che sia il gusto individuale a dirlo. (www.metallized.it/recensione.php?id=10932)
A farsi apprezzare largamente è, comunque, tutto ciò che rientra sotto i punti definibili “tecnici”: ottima l’esecuzione, perfetta la produzione, ma anche le idee evidenziate nelle rifiniture e negli arrangiamenti, probabilmente ancora migliorate rispetto a quanto sentito nel corso degli ultimi anni con i Nevermore. Non dubitate quindi: pur senza far gridare al capolavoro, “The Year The Sun Died” resta un disco da acquistare ad occhi chiusi! (www.metallus.it/recensioni/recensione-the-year-the-sun-died/)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 6 dicembre 2014

TV ON THE RADIO: C’è ancora vita da questa parte del rock!

TV ON THE RADIO “Seeds” (Harvest, 2014) - www.tvontheradioband.com


Tracklist:
01.
Quartz
02. Careful You
03. Could You
04. Happy Idiot
05. Test Pilot
06. Love Stained
07.
Ride
08. Right Now
09.
Winter
10. Lazerray
11. Trouble
12. Seeds


Dopo la morte nel 2011 del bassista Gerard Smith, i TV On The Radio avrebbero potuto mollare tutto. “Potevamo chiuderla lì” ha detto a Billboard il cantante Tunde Adebimpe “ed essere felici di quel che avevamo combinato”. Oppure avrebbero potuto uscirsene con un disco cupo e pensoso. E invece rieccoli con il loro album più diretto e facile. Pop, persino! È un bel modo per riemergere dal limbo d’incertezza in cui stavano rischiando di affondare.
“Seeds” ci dice di una band di musicisti che celebrano il proprio legame con una festa, o qualcosa del genere. La sua forza catartica deriva dalla prospettiva positiva, dalle melodie cantabili, dal tono insolitamente luminoso. I musicisti si sono accostati alle registrazioni con cautela, una canzone alla volta, per vedere che cosa accadeva. Hanno scoperto che era possibile fare musica senza drammi e fantasmi. Che c’è ancora vita, da questa parte del rock. (www.rockol.it/recensione-5871/tv-on-the-radio-seeds)
Se dovessi spiegare a un alieno gli anni Zero utilizzando solo tre dischi, probabilmente uno sarebbe dei TV On The Radio perché, come e più di altri, rappresentano alla perfezione il decennio in cui i confini tra i generi sono stati abbattuti, l’indie è diventato mainstream e il pop inteso come grande macchina universale del consenso ha mutato forma e contenuto fino a riscrivere completamente quelle regole che il crollo dell’industria discografica aveva reso obsolete. I TV On The Radio nascono proprio da quel contesto, dalle macerie degli anni ’90, e sono emersi proprio grazie alla loro capacità innata di percorrere strade diverse, ma tutte contemporaneamente. Perché se solo l’idea di un gruppo indie rock composto per quattro quinti da afroamericani – un gruppo che nel primo EP piazzava addirittura una cover dei Pixies – poteva sembrare rivoluzionaria, lo era ancora di più la loro proposta musicale basata sul disorientamento: post punk, disco music, chitarre garage e voce soul. Un grande, bellissimo casino!
Dopo tre album di livello sopraffino e un quarto album passato ingiustamente inosservato, i TV On The Radio provano a riprendersi il centro della scena con “Seeds” che per la prima volta prova a cristallizzare il suono dei fino a renderlo quasi un cliché, come se si trattasse di un greatest hits di soli inediti. Peccato però che l’eccitazione e l’impeto giovanile abbiano lasciato spazio a un formalismo pop che li conferma impeccabili, ma purtroppo anche meno freschi, capaci di scrivere ancora grandi canzoni, ce ne sono anche qui, ma che inevitabilmente finiscono per sprofondare nel revival. Il revival di loro stessi. (www.rollingstone.it/recensioni/tv-on-the-radio-seeds/)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 29 novembre 2014

MARK LANEGAN: luci ed ombre per un album di maniera

RADI@zioni / Disco Hot N° 19:
MARK LANEGAN “Phantom Radio” (2014)

Un altro disco di Mark Lanegan… e dopo neppure un anno dal precedente…
Mr. Lanegan, soprannominato “the voice” tra gli addetti ai lavori, sull’orlo delle 50 candeline, ha pronti dieci nuovi brani. Sono brani decisamente alla sua maniera, densi di luci ed ombre, che non scontenteranno i suoi fans, ma che neanche esalteranno oltre il dovuto.
Il disco contiene pezzi che decisamente ricreano l’atmosfera del sound “laneghiano” là dove il furore del migliore storyteller esce fuori… a parte questa fissa per l’elettronica che gli è venuta da qualche anno a questa parte. Un disco “notturno” e comunque … da gustare!
Un onesto e gradevole pot-pourri di influenze sonore differenti, un disco a metà strada tra kraut-rock e richiami anni ’80, ma ancora in grado di graffiare l’anima nei momenti più felici ed ispirati.

(A cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
DEATH TRIP TO TULSA


sabato 15 novembre 2014

LENNY KRAVITZ è tornato, e questa volta fa sul serio!

RADI@zioni / Disco Hot N° 18:
LENNY KRAVITZ “Strut” (2014)

“Strut”, il nuovo album di Lenny Kravitz è stato anticipato dal singolo “The chamber” … che non rispecchia per niente questo lavoro!
A 50 anni Kravitz si ripresenta come un rocker dalla straripante carica sessuale. Musicista padrone del linguaggio rock, tantissima voglia di fare musica al punto che preferisce suonare da se tutti gli strumenti e questo, si sa, alle volte può risultare essere un difetto. Ascoltando “Strut” è facile provare una sensazione di deja-vu. Capita di chiedersi dove si sia già sentito un certo riff o break strumentale o un frammento di melodia… come se queste canzoni fossero delle cover e non degli originali… ma nei dischi di Kravitz questo è normale…
Ad ogni ascolto quest’album convince sempre più! Certo, non sarà un capolavoro e forse non sarà neppure il suo miglior disco… ma l’importante è sapere che Lenny è in gran forma!

(A cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:



venerdì 14 novembre 2014

RIOT - Coerentemente inossidabili anche di fronte all’avverso destino!

RIOT V "Unleash The Fire" (Steamhammer, 2014) – www.areyoureadytoriot.com
Tracklist:
01. Ride Hard Live Free
02. Metal Warrior
03. Fall From The Sky
04. Bring The Hammer Down
05. Unleash The Fire
06. Land Of The Rising Sun
07. Kill To Survive
08. Return Of The Outlaw
09. Immortal
10. Take Me Back
11. Fight Fight Fight
12. Until We Meet Again
13. Thundersteel (Live bonus track on japanese ltd. edition)
Non avremmo mai scommesso un centesimo sulla prosecuzione della carriera dei Riot, a causa della scomparsa del mastermind Mark Reale, sconfitto da un’emorragia cerebrale, nonché dal morbo di Crohn contro cui ha lottato per anni. Quando i restanti componenti hanno deciso di portare comunque avanti questa avventura, naturalmente avvalorata dalla benedizione della famiglia Reale, sono sorte alcune spiacevoli polemiche sollevate da alcuni fans infervorati. Questi ultimi hanno tacciato i Nostri, in maniera illegittima, di voler lucrare sul prematuro decesso del chitarrista italo-americano. Peccato che in oltre 35 anni di attività, la band abbia riscosso un successo commerciale inversamente proporzionale a quanto dimostrato sul campo, composto di una discografia densa di dischi di alta (quando non di altissima) qualità.
Lasciate quindi alle spalle le inutili e velleitarie polemiche sull’uso del nome della band, l’attuale compagine composta dal bassista Don Van Stavern, dai chitarristi Mike Flyntz e Nick Lee, dal batterista Frank Gilchriest e dal cantante Todd Michael Hall ha deciso di ribattezzare il progetto come Riot V. La nuova denominazione rappresenta semplicemente un doveroso tributo pagato nei confronti dei cinque frontmen che hanno cavalcato con risultati straordinari, ognuno con le proprie inimitabili caratteristiche, questo indomito destriero di acciaio inossidabile. Non c’era dunque titolo più appropriato per rappresentare al meglio il contenuto del quindicesimo full length rilasciato dalla band americana.
“Unleash The Fire” rappresenta la volontà dei Nostri di non desistere innanzi ad un destino avverso, tributando al contempo un ossequioso dazio nei confronti del padre fondatore Mark Reale. Difatti il disco prosegue con coerenza il discorso lasciato in sospeso tre anni fa con “Immortal Soul”, l’immediato predecessore che ha riportato le quotazioni della band ai tempi del magnifico “Thundersteel” (1988). Certo, in quest’occasione si avverte la mancanza della squillante ugola al titanio di Tony Moore, ma il buon Hall dimostra di cavarsela egregiamente anche nelle parti più impegnative. Sin dalla presenza sulla (pacchiana) copertina della simpatica mascotte Johnny, appare palese che i Riot V abbiano voluto rispettare in ogni aspetto il concept audiovisivo plasmato nel tempo dallo sfortunato leader.
I 12 episodi che costituiscono “Unleash The Fire” (13 nell’immancabile limited edition giapponese) si snodano prevalentemente attraverso una serie di violente rasoiate al calor bianco, scagliate con efferato vigore dal rapido incedere di “Ride Hard Live Free” e “Fight Fight Fight”. La regale epicità di “Fall From The Sky” dimostra che gli allievi hanno imparato alla perfezione la lezione impartita dal maestro. Gli efferati riff portanti scolpiti forgiati nel fuoco dalla title track e da “Bring The Hammer Down” sono capaci di far impallidire gli attuali ed imbolsiti Judas Priest. “Metal Warrior” invece è un roboante anthem meritevole di ricordarci ancora una volta che non è necessario assumere comportamenti pacchiani per colpire diretti al cuore del metallaro duro e puro. Gli attuali Riot si concedono anche un meritato brindisi dedicato ai bei tempi andati (“Take Me Back”), permettendosi il lusso di imbarcarsi in una lieve sbandata auto-citazionistica (“Return Of The Outlaw”). Non mancano neppure un paio di episodi meritevoli di smorzare la tensione accumulata: ci riferiamo alla piacevole ballata “Immortal”, ma soprattutto alla regale musicalità profusa dal sontuoso epilogo di “Until We Meet Again” (dedicato a Mark Reale, la cui voce si può ascoltare alla fine del brano), pregevole episodio che risveglia in noi il desiderio di veder continuare a splendere tra le stelle il nome dei Riot. Commovente! (http://metalitalia.com/album/riot-v-unleash-the-fire/)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


venerdì 7 novembre 2014

THE VAN PELT - Un album immaginario… ma non troppo!

THE VAN PELT “Imaginary Third” (La Castanya Records, 2014) - www.thevanpelt.com


Tracklist:
1. Infinite Me
2. The Threat
3. A, B, C, D’s of Fascism
4. Three People Wide At All Times
5. The Betrayal
6. Democratic Teachers Union
7. Evil High
8. The Speeding Train


Alla fine degli anni ’90 i The Van Pelt si erano sciolti lasciando incompiuto il seguito di “Sultans of Sentiment”. A distanza di tempo e di chilometri, l’etichetta indipendente catalana “La Castanya” ha raggruppato le registrazioni del biennio ’96-’97 per quello che avrebbe dovuto essere (e non è mai stato) il fatidico terzo album. Ha aggiunto inoltre alcuni mixaggi e voilà, un disco immaginato per anni è ora, pur sempre “immaginario”, come dice il titolo, ma finalmente in carne o ossa (viniliche e digitali).
“Imaginary Third” ci riporta il gruppo di Chris Leo all’incirca dove lo aveva lasciato “Sultans of Sentiment”, il secondo e finora ultimo LP di una breve carriera, vero culto come dimostra anche l’entusiasmo con cui è stata accolta la recentissima reunion. Siamo dove eravamo rimasti, in un contorto e avvincente crocevia che è anche una fertile terra di mezzo tra indie, emocore e post-rock, con un sound spigoloso e intellettuale quanto la scrittura ellittica e il tono inconfondibile di Chris Leo, oscillante tra lo scream, il canto e il recitato. Canzoni dissonanti un po’ smart casual, come nel miglior college rock, un po’ obliquamente pop e discretamente rumorose, che suonano fluide eppure abbastanza intricate anche quando giostrano semplicemente su due accordi fragorosi.
Lo si può considerare un buon mix tra i due album precedenti dei The Van Pelt, la parte sanguigna di “Stealing from Our Favorite Thieves” e quella astratta di “Sultans of Sentiment”. Da una parte il talking punk letterario di “The Threat”, il rock and roll sbilenco ma tecnico di “The Betrayal” e una specie di rockabilly contorto (“Evil High”), dall’altra le chitarre pop-noise di “Three People Wide at All Times”, e poi “The Speeding Train”, ballata post-hardcore un po’ sui generis che a pelle può ricordare l’impressionismo strumentale dei Durutti Column con una spruzzata di epica alla U2 e il soul rock degli Afghan Whigs riletti in chiave Minutemen/Fugazi. Buona parte delle canzoni sono state l’anticamera per l’album “Betrayal” della nuova band di Chris Leo, i The Lapse, appena più ruvide nell’esecuzione rispetto all’interpretazione che ne avevano dato gli stessi The Van Pelt (http://sentireascoltare.com/recensioni/van-pelt-imaginary-third/).
Ricapitolando… a vent’anni dalla formazione e a quasi 17 dallo scioglimento (esclusi quei due show-reunion del 2009), i magnifici The Van Pelt di Chris Leo danno un seguito (inaspettato) ai due capolavori che compongono una discografia miracolosa: “Stealing From Our Favorite Thieves” (1996) e “Sultans of Sentiment” (1997). Il 19 aprile di quest’anno, in occasione del Record Store Day, la piccola label catalana “La Castanya”, pubblica “Imaginary Third”, una “collezione” di brani che sarebbero dovuti finire su quel terzo album che non vide mai la luce proprio a causa dello split prematuro della formazione newyorchese. Brani dunque registrati tra il 1996 e il 1997. Le prime cinque tracce furono poi rivisitate e rielaborate per “Betrayal” il primo disco dei The Lapse, progetto immediatamente seguente ai The Van Pelt (assieme a Toko Yasuda transfuga dai Blonde Redhead), mentre gli altri tre brani vennero inseriti nel 7″ “The Speeding Train”. Oltre agli splendidi The Lapse la dissoluzione dei The Van Pelt portò, tra le altre cose, alla nascita di Vague Angels, Enon, Jets To Brazil e Butterflies of Love (http://www.nerdsattack.net/the-van-pelt-il-nuovo-album/).
Avessero proseguito la loro corsa, i The Van Pelt sarebbero andati probabilmente oltre questi pezzi. Non sarebbero diventati delle star (se “The Speeding Train” è una hit mancata, poteva esserlo comunque per un pubblico di nicchia), ma avrebbero consolidato la propria reputazione. Cosa che anche questo disco, nonostante tutto, contribuisce comunque a fare!

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 1 novembre 2014

ROYAL BLOOD - Un debutto da brivido!

ROYAL BLOOD “Royal Blood” (Warner, 2014) – http://royalbloodband.com

Tracklist:
01. Out Of The Black
02. Come On Over
03. Figure It Out

04.
You Can Be So Cruel
05. Blood Hands
06. Little Monster
07. Loose Change
08. Careless
09.
Ten Tonne Skeleton
10. Better Strangers

Brighton è una bella località marittima. Si dice sia “la più amata dagli inglesi”. È situata nella costa sud del Regno Unito, a nemmeno un’ora da Londra. A un tiro di schioppo c’è anche l’idilliaca campagna del Sussex, coi suoi scenari da serial tv d’epoca. Ma poi c’è anche la tradizione legata alle sottoculture giovanili... senza perdersi in troppi discorsi e lezioni di sociologia, basti ricordare i leggendari scontri fra mods e rockers dei primi anni ’60 del novecento. E adesso, il “made in Brighton”, dà i natali anche a un duo che ha voglia di fare un bel po’ di sano rumore: del rock basilare che spazia dal garage all’indie, passando per il blues e suggestioni grunge, groove e alternative. Si sta parlando dei Royal Blood, gente che picchia durissimo e macina riffs senza tregua. Il tutto con una configurazione che porta agli estremi quanto già sperimentato dai White Stripes (tanto per fare un nome illustre). I Royal Blood, infatti, suonano utilizzando solo batteria, basso (che suona e riempie come una chitarra, grazie ad un setup particolare) e voce.
Questi due ragazzi – i loro nomi sono Mike Kerr e Ben Thatcher (proprio come la Lady di Ferro di buona memoria) – sfornano il loro album di debutto direttamente su marchio Warner: tale è stato il polverone che hanno sollevato negli ultimi 12 mesi circa, che non hanno neppure iniziato il solito percorso costellato di etichette indipendenti. No! Loro, dopo una manciata di singoli ed ep, sono arrivati a uno dei giganti della discografia. Cotto e mangiato, come si dice. Ebbene, la Warner ha avuto l’occhio lunghissimo a scritturare i Royal Blood, perché questo loro omonimo debutto è un disco che, sicuramente, è destinato ad entrare nelle playlists di tanti appassionati di rock che non amano le atmosfere troppo patinate e mainstream.
Riffs nervosi e facilmente memorizzabili, tempi tirati, ritmo serrato, voce convincente e ruvida al punto giusto... il tutto condito con un’attitudine che ancora ha il sapore dei club e degli scantinati. Se amate questo tipo di cose, provate a resistere a una “Ten tonne skeleton”, oppure all’assalto in stile Jack White di “Figure it out”. Per non parlare di “You can be so cruel”, che si avventura in territori spesso visitati dai Queens Of The Stone Age, con un risultato davvero notevole. E il brano di chiusura, con il suo incedere atipico rispetto agli altri (cadenzato, lento), aggiunge una nota distonica affascinante, al tutto: si intitola “Better strangers” e suona come se i Nirvana avessero coverizzato i Led Zeppelin avendo come ospiti d’onore i White Stripes... da brivido!
“Royal Blood” – l’album – è, a conti fatti, la riprova che con ingredienti semplici ed a volte quasi scontati, è ancora possibile fare del rock non allineato, fuori dai paletti ultra-commerciali ma (ed è un grosso “ma”) capace di essere accattivante e conquistare un pubblico più ampio delle solite nicchie di appassionati. Con un solo primo album è un po’ difficile azzardare delle previsioni, ma non ci si stupirà affatto se questi giovani finiranno, in un prossimo futuro, nell’elenco dei fuorilegge del rock’n’roll contemporaneo, insieme a Black Keys e Jack White! (http://www.rockol.it/recensione-5785/royal-blood-royal-blood)
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.



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